José Saramago, Cecità


Cari lettori e care lettrici, 

la parola sorteggiata che ci ha ispirato la lettura di Cecità di Saramago è  "indifferenza".

In questo romanzo, pubblicato nel 1995, l’autore portoghese, e futuro premio Nobel  per la letteratura, racconta della improvvisa diffusione di una strana epidemia in una città non precisata:  l'intera popolazione (o quasi) diventa cieca e le conseguenze di questa misteriosa malattia sulla convivenza sociale sono drammatiche.

Chi è colpito si ritrova come avvolto in una nube lattiginosa e non vede più; le reazioni psicologiche dei protagonisti (volutamente spersonalizzati dall'autore e presentati in forma anonima) sono estreme. 

Il 20 maggio ci siamo incontrate per scambiarci le impressioni di lettura di questo romanzo. Crudo, angosciante, alienante sono alcuni degli aggettivi emersi, anche se qualcuna è stata colpita molto  proprio dalla vividezza con cui sono rese sensazioni e paure. Non tutte hanno apprezzato lo stile particolato usato da Saramago: scrittura con poca punteggiatura (solo virgole), personaggi definiti da frasi impersonali ma non identificati e descritti.

Cecità è piaciuto ad alcune di noi; abbiamo trovato interessante il racconto di come cambia il mondo  quando tutte le persone perdono la vista e la cecità livella tutto: si appianano le differenze di condizioni sociali, non ci sono più canoni estetici che influenzano la valutazione delle persone, si ritorna ad uno stato primordiale in cui l'istinto di sopravvivenza domina sugli altri. Cecità suscita anche una riflessione sul tema dell'adeguatezza delle città e delle società alle necessità di tutti, ma anche sul tema dell'indifferenza.

La mancanza quasi totale di punteggiatura nei dialoghi diretti dei protagonisti è sembrato a qualcuna rispecchiare l’assenza di punti di riferimento dei protagonisti, che non sono mai chiamati per nome; l’utilizzo del colore bianco in luogo del nero, per definire l'orizzonte visivo delle persone divenute cieche, è sembrato un paradosso che potrebbe essere spiegato tramite l’osservazione che nel bianco vi sono tutti i colori.

È stato sottolineato come il corpo divenga protagonista quasi primario sia in senso soggettivo che oggettivo, in tutti gli aspetti a esso riferibili (lo strisciare per terra con la schiena contro il muro per procurarsi il cibo, gli istinti primordiali, le funzioni biologiche, il contatto a volte violento quasi ferale fra i corpi “anonimi” che avviene tramite pugni, calci e pestaggio). L’autore sembra non risparmiare nemmeno gli aspetti più sconci e crudi di esso (la sporcizia, il fetore, il sudore, l’incontinenza).

In questa storia angosciante, comunque, non mancano personaggi positivi e messaggi di speranza.

In particolare, siamo state colpite dal dialogo finale (fra il medico e sua moglie) che lascia intendere il messaggio contenuto in questo romanzo dell'assurdo e dell'indifferenza:

Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che pur vedendo non vedono.

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