Marco Balzano, Resto qui, Einaudi 2018
Marco Balzano, Resto qui, Einaudi 2018 (secondo classificato al Premio Strega 2018)
Bello questo nuovo romanzo di Marco Balzano, tanto quanto L’ultimo arrivato. Anche in questo caso si tratta di una vicenda collocata nel passato della storia italiana, precisamente nel periodo che dall’avvento del Fascismo arriva fino agli anni Cinquanta, in Val Venosta.
Protagonista e voce narrante è Trina, che si rivolge, come in un diario, all’amata figlia Marica, che giovanissima è scappata in Germania seguendo gli zii, in cerca di un futuro migliore.
No, non meriti di conoscere quei giorni di buio. Non meriti di sapere quanto abbiamo gridato il tuo nome. Quante volte ci siamo illusi di essere sulla strada giusta. È una storia che non ha ragione di riaccadere nelle parole. Ti racconterò invece della vita di noi, del nostro essere sopravvissuti. Ti dirò di quello che è successo qui a Curon. Nel paese che non c’è più.
Le racconta la sua storia, quella della sua famiglia e nello stesso tempo dipinge la vita di una comunità devastata prima dalla politica fascista, che è contraria all’uso e all’insegnamento del tedesco e che minaccia la sua identità, poi dalla guerra e infine dalla costruzione della diga che cancellerà per sempre il paese di Curon.
La prosa è essenziale, senza fronzoli, ma la storia comunque arriva al cuore e parla di sentimenti, di perdite, di privazioni e di ribellioni.
I riferimenti storici sono puntuali e altrettanto reale è il lago di Resia, da cui spunta la torre del campanile della chiesa del paese distrutto e sommerso.
Trina è una donna forte, una giovane maestra che durante il fascismo insegna clandestinamente il tedesco ai bambini, rischiando l’arresto; è caparbia quando con suo marito Erich resta nel paese mentre molti fuggono verso la Germania, quando segue Erich disertore nei boschi e conduce una vita di stenti ed è decisa quando lo sostiene nella protesta contro la diga; imbraccia il fucile, scrive lettere infuocate per i giornali, non si arrende mai.
La storia è intima, c’è il legame con sua madre e quello speciale con suo padre ed è anche il racconto di un’amicizia, ma è anche la storia di un paese di confine, stretto tra Svizzera e Austria, e di una comunità protagonista di avverse vicende che non tutti conoscono.
Nella Nota finale Balzano spiega come è nato il suo interesse per la storia di Curon:
C’è un pontile che è il luogo ideale per fotografarsi col campanile alle spalle. Lì la coda per farsi un selfie è sempre piuttosto lunga. Quella coda di gente armata di smartphone è stata l’unica immagine che sia riuscita a distrarmi dallo spettacolo del campanile sommerso e dell’acqua che nasconde i vecchi borghi di Resia e Curon. Non so trovare nulla che dimostri più chiaramente la violenza della storia.
E precisa anche il valore di quella storia ai fini di una rappresentazione più generale di alcune realtà della storia italiana: “incuria”, “violenza del potere”, “impotenza della parola”.
Se la storia di quella terra e della diga non mi fossero parse da subito capaci di ospitare una storia più intima e personale, attraverso cui filtrare la Storia con la s maiuscola, se non mi fossero immediatamente sembrate di valore più generale per parlare di incuria, di confini, di violenza del potere, dell’importanza e dell’impotenza della parola, non avrei, nonostante il fascino che questa realtà esercita su di me, trovato interesse sufficiente per studiare quelle vicende e scrivere un romanzo.
(Ale)
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