Philip Roth, Il lamento di Portnoy

PHILIP ROTH, Il lamento di Portnoy, Einaudi, 2014 (edizione originale: Portnoy’s complaint, Random House, 1969) Traduzione di Roberto C. Sonaglia




 

Alexander Portnoy (il protagonista) si racconta al proprio psicanalista, in un monologo, un flusso di coscienza e nel riaffiorare di ricordi ed episodi legati soprattutto al periodo adolescenziale.

Roth descrive, con verve comica e con la maestria di un grande scrittore, il disagio, la frustrazione di vivere in una famiglia americana di ebrei borghesi, benpensanti, religiosissimi e il rapporto difficile con una madre assillante e soffocante.

Le confidenze, o meglio le lamentele di Alexander Portnoy, erotomane e nello stesso tempo succube della mentalità tradizionalista, ti fanno entrare nell’intimità della vita familiare e personale di un ragazzo adolescente che poi si fa uomo, ti rendono partecipe delle pulsioni sessuali e dei pensieri più profondi e “inconfessabili”. Una volta entrati nel suo mondo è difficile uscirne senza sentirsi cambiati.
Leggere questo libro è divertimento puro, ma stimola anche la riflessione soprattutto sulle ipocrisie e sul perbenismo della società borghese, o meglio piccolo-borghese, americana degli anni Sessanta.

Pubblicata nel 1969 è una delle opere più lette di Philip Roth, autore di Pastorale americana, Zuckerman scatenato, La macchia umana, Nemesi.

Per avvicinarsi alla vita e alle opere di questo grande scrittore americano, sempre in odore di Nobel per la Letteratura, consiglio la biografia curata da Claudia Roth Pierpont (che non ha legami di parentela con lo scrittore), Roth scatenato, pubblicata da Einaudi nel 2015, in cui la vita dello scrittore è scandagliata in rapporto alle sue opere.

(Alessandra)

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